Una delle conseguenze nefaste del ginocentrismo femminista è stata la totale cancellazione della “coscienza di genere” maschile, semmai ce ne fosse stata una in qualche tempo.
L’ideologia femminista, partendo dal presupposto di un “patriarcato latente” nella società, si è sempre concentrata esclusivamente sulle problematiche e sui diritti femminili, pur affermando falsamente di essere inclusiva. Questa strategia è stata funzionale alla diffusione del femminismo stesso, ed è servita a coinvolgere una percentuale rilevante di uomini tra le fila di un movimento che in realtà, sin dalle sue origini, è stato profondamente di parte ed ha considerato gli uomini più come nemici che come alleati.
Tale modus operandi ha portato negli anni ad oscurare totalmente, agli occhi dell’opinione pubblica e degli stessi uomini, i diritti e le problematiche maschili, visti sempre come corollario dei diritti, delle garanzie e talvolta dei privilegi femminili.
Agendo in questo modo, e avvalendosi anche della collaborazione dei media e delle Istituzioni, il femminismo da un lato ha rafforzato, se non addirittura costruito ex novo una vera e propria “coscienza di genere” femminile. Dall’altro ha corroso e distrutto totalmente quella maschile, chiamando in causa e coinvolgendo gli uomini esclusivamente come strumento per il raggiungimento dei suoi scopi e il rafforzamento del suo potere di influenza.
Tutto quanto appena affermato trova conferma nell’episodio che ha visto coinvolto, nella giornata di ieri, il Presidente dell’INPS Tito Boeri. Partecipando ad un convegno femminista, Boeri ha fatto propria un’iniziativa avanzata dal blog femministissimo la27 ora, proponendo al Governo di introdurre per legge un periodo di paternità obbligatoria pari a 15 giorni, con la previsione di sanzioni per coloro che violino tale obbligo.
Boeri ha giustificato tale iniziativa come
fondamentale per un Paese come il nostro, in cui si penalizza in modo pesante la carriera delle madri e per spezzare il circolo vizioso che si è creato su un equilibrio sbagliato, che vede l’uomo con maggior potere contrattuale nello stabilire chi deve lavorare e chi deve stare con i figli
Soffermiamoci su queste parole, tralasciando le altre dichiarazioni di Boeri per non dilungarci troppo, sulle quali pure molto ci sarebbe da discutere. In queste frasi viene sintetizzato perfettamente quanto affermato all’inizio del nostro articolo.
L’iniziativa avanzata da Tito Boeri, non viene presentata in termini positivi, come finalizzata a tutelare il sacrosanto diritto dei padri a trascorrere con i figli i primi giorni della loro vita, ma viene sponsorizzata come un provvedimento straordinario, per impedire agli uomini-padri di compromettere la carriera lavorativa delle donne madri.
Tralasciando le considerazioni sul merito del provvedimento, che potrebbe essere anche giusto, le parole di Tito Boeri sono criticabili per una questione di metodo e sono viziate per tre ordini di ragioni:
- Perché continuano a propinare una visione conflittuale tra uomini e donne, rafforzando e alimentando il falso stereotipo del “maschio irresponsabile” nell’ambito della famiglia, dove invece è fondamentale la collaborazione tra i coniugi e dove le scelte dovrebbero essere condivise e autonome.
- Perché i diritti maschili, come potrebbe essere quello specifico alla paternità, continuano ad essere totalmente ignorati, eccetto nelle ipotesi in cui sono funzionali a preservare quelli femminili considerati più importanti (in questo caso il diritto al lavoro della donna-madre).
- Perché il messaggio che viene trasmesso è che il genitore che lavora sia avvantaggiato rispetto a quello che resta a casa ad accudire la prole, dimenticando che chi decide di lavorare subisce non solo una privazione di tipo affettivo, essendo costretto a stare per molte ore della giornata lontano dal proprio bambino, ma contribuisce altresì con il proprio stipendio al sostentamento di tutta la famiglia.
Ulteriori riflessioni potrebbero ancora essere avanzate. Ad esempio, potremmo chiedere a Boeri perché non parli anche di quei tanti padri che invece vorrebbero, dopo la separazione, passare più tempo con i loro figli, ai quali viene impedita tale possibilità.
Oppure perché non abbia riflettuto sul fatto che spesso gli uomini-padri sono costretti a dare più importanza alla carriera che alla famiglia, perché un uomo che non lavora o non è affermato viene considerato dalla società, e spesso anche dall’universo femminile, come un fallito.
Senza considerare che gli uomini, svolgendo lavori più pesanti e rischiosi usufruiscono (ancora per poco) di uno stipendio leggermente più elevato. Il che fa comodo per sostenere le spese familiari.
Una cosa però merita, in ultimo, di essere ricordata. Emma Bonino, non certo una misogina maschilista, di fronte alle parole di Tito Boeri ha espresso una certa perplessità affermando:
è eccessivo prescrivere l’obbligatorietà del congedo di paternità, bisogna stare attenti a non entrare troppo nelle scelte individuali dei cittadini, che come noi vogliono vivere liberi
Quando un uomo, non dichiaratamente femminista, dimostra di essere più radicale e irragionevole di una femminista, dovremmo riflettere seriamente sulla necessità di costruire una “coscienza di genere” al maschile.